Thread Forum:
Giulia Piersanti
Editoriale
Edizione 90
19.11.2021
Giulia Piersanti: la creatività ha una buona fibra

Come nel filo conduttore che collega i vari interventi in una conversazione online, il progetto Thread Forum, curato da Antonio Mancinelli, è una ricognizione sul ruolo della maglieria nell’estetica contemporanea. Grazie a una serie di interviste ai più noti knitwear designer del mondo selezionati tra coloro che intervengono a Pitti Filati, intende anche dare risposte agli interrogativi che spesso si pongono retailer e acquirenti, ma a cui non si trovano facili risposte: dialoghi sul “qui” e “ora” di una materia che fa parte da sempre della cultura del vestire.

Oltre che designer di maglieria, Giulia Piersanti è anche costumista: suoi gli abiti di scena di Call me by Your Name di Luca Guadagnino, regista per cui ha realizzato anche i costumi per A Bigger Splash, Suspiria e Bones & All, appena terminato. Discreta, riservata, modesta, ha lavorato con vari direttori creativi di maison del lusso, come Balenciaga e Lanvin. Ora è Head of Woman’s and Man’s Knitwear per Celine. L’abbiamo incontrata a Milano, dove vive e lavora.  
Disegnare maglieria può limitare o espandere la propria libertà creativa? 

«Credo che un approccio moderno al design della moda in generale (che sia maglieria od altro) nonostante risponda a richieste di consumo e mercato non necessiti di porsi limiti di libertà creativa a patto che questa non sia fine a sé stessa. Credo in una creatività sincera, emotiva, responsabile ed intelligente. Che non esaudisca solo desideri mercantili, ma possa anche educare a scelte d’acquisto migliori».
Cosa offre la maglia in più e in meno rispetto ad altri tessuti?

«Per me la maglieria offre uno spazio di fantasia più ampio. Pensi solo al fatto che tutto parte da un filo, a creare non solo nuove forme e volumi ma anche il tessuto di base. Questo porta a uno sviluppo della modellistica, alla ricerca di un’ampiezza, a uno studio dell’attitudine nell’indossare un determinato capo che potrà essere realizzato solo se si conoscono le procedure dei punti, dei trattamenti. La maglieria è l’unico materiale che permette un approccio a 360 gradi: mette in equilibrio il design e le soluzioni tecniche ideali per farlo diventare realtà». 

Lavora per un grande brand e ha collaborato con celebri direttori creativi. Come funziona? Si va sempre d’accordo o ci sono momenti di confronto?

«Ho la fortuna di poter lavorare per direttori artistici con i quali ho sempre condiviso la visione, di parlare il loro stesso linguaggio che rispetto e ammiro e da cui ho imparato e non smetterò mai di imparare». 
 
La tendenza genderless può costituire un vantaggio per i filati? Se sì, perché? 

«Non esiste un filato maschile o femminile. Una proposta genderless non dovrebbe essere un trend del momento ma un criterio contemporaneo della moda. Tutto ciò che si trova nello “spazio di mezzo” né maschile, né femminile, è ciò che trovo più interessante. Trovo poco attuale che certi marchi abbiano un designer per la maglieria solo da uomo o solo da donna dentro i loro uffici stile».

La può definire una materia del futuro da inserire nell’idea di sostenibilità?

«Assolutamente. Sta alla base alle filature che presentano i filati aprirsi a nuove impostazioni che sostengano una migliore tracciabilità della materia prima e dello sviluppo di nuove capacità per le loro ricerche. Questo per far si che gli stilisti non debbano essere limitati nel voler fare scelte stilistiche o creative sostenibili. Purtroppo, capisco la difficoltà che obbliga a investimenti economici e di reimpostazione aziendale per le filature ma non bisogna vedere l’interesse comune verso il pianeta come una tendenza passeggera. Le attuali generazioni di giovani studenti e stilisti sono molto esigenti nel pretendere sostenibilità nella creatività». 


 
Qual è il suo primo ricordo legato al knitting? 

«Mia nonna che, alla nascita di nipoti e pronipoti lavorava - e lavora tuttora! -  all’uncinetto, facendo coperte per i nostri lettini: sono doni che teniamo nel tempo con grande partecipazione affettiva e sentimentale». 

Quanto conta conoscere la tecnica rispetto ad avere un’idea originale ma non saperla realizzare? 

«In entrambi i casi ci sia un lato interessante, se dietro c’è costanza nel volerla conoscere e comprendere. Quando anni fa passai dal design del tessuto a quello in maglia, di quest’ultima non conoscevo alcuna tecnica. Questo mi dava in un certo senso libertà di non pormi limiti “non si può fare”. «Si può fare questo? E perché no? E se facessimo così, si potrebbe arrivare a fare questo?». La mia ignoranza mi obbligava a fare domande: Mi sedevo accanto alle magliaie, le interrogavo. Sa, a volte non essere troppo “tecnici” può portare a creare novità.  Ma ripeto: il successo di una maglia o di una collezione non risiede solo nell’avere un’idea nuova, se è fine a sé stessa. Ma nell’usare intelligenza per creare un prodotto onesto e appealing».