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Contenere le perdite, l'abbigliamento spera in un -20%
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Edition 98
24.08.2020
Salvare l'anno, limitando l'ammanco ai tre mesi di chiusura, è l'obiettivo che, se raggiunto, permetterebbe al settore di rilanciarsi a partire dal 2021. Anche se per alcune specializzazioni, come per esempio il formale, «il covid è stata la botta finale», ha affermato Gianfranco Di Natale, dg di Smi

L'abbigliamento italiano si prepara a un autunno piuttosto freddo, in termini di ordinativi. Se fosse freddo anche come temperature, potrebbe contribuire a rilanciare il sell out di capi tipicamente invernali, quelli della stagione più importante per i fatturati delle imprese. Ma certamente il punto di partenza non è favorevole perché, come ricordato da Confindustria moda in occasione della nomina di Cirillo Marcolin a nuovo presidente, il calo della raccolta ordini nel periodo gennaio/marzo, quello legato all'invernale 2020-21, era stato di oltre il 40% rispetto allo stesso trimestre 2019. E a settembre tocca all'estivo, già condizionato dalla cancellazione di alcuni appuntamenti fieristici decisivi come ad esempio Pitti immagine uomo.

Questo e altri fattori portano Gianfranco Di Natale, direttore generale di Sistema moda Italia, a una presa d'atto della situazione attuale e delle difficoltà ulteriori in arrivo. «Nei dati aggregati dell'indagine previsionale di Confindustria moda la proiezione di perdita di export e fatturato a fine anno oscilla tra il -20 e -35%, e la componente del tessile abbigliamento incide per il 60% del totale moda. Tutto si muove a catena, ma nel caso dell'abbigliamento ci si trova di fronte ai nostri mercati d'elezione in piena crisi pandemica. E non disporre dell'export è un problema irrisolvibile, perché nell'apparel l'estero genera l'80% dei ricavi», ha precisato Di Natale. «Sarà fondamentale capire in che situazione le aziende potranno arrivare a settembre. Se il mercato dovesse stabilizzarsi, senza ulteriori problemi pandemici, e il settore riuscisse a contenere le perdite finali nell'ordine del 20%, si può pensare a un recupero a partire dal 2021, ma nessuno dei nostri immagina una ripresa reale prima del 2022. Tenendo peraltro conto che ci sono specializzazioni maggiormente colpite di altre. Per l'abbigliamento formale, ad esempio, il covid ha rappresentato la cosiddetta botta finale».

La situazione nei distretti riflette le aspettative nazionali, a cominciare da quello di Empoli, che comprende una trentina di confezioni di abbigliamento. Qui il periodo da settembre a dicembre prossimi sarà molto critico. «Fino a metà agosto le aziende stanno evadendo gli ordini pre covid-19, al netto degli annullamenti ricevuti, con un calo stimato ad oggi nell'ordine del 20-40%», ha spiegato a MFF Azzurra Morelli, imprenditrice alla guida della manifattura Pellemoda e vicepresidente di Confindustria Firenze. «Nei mesi successivi invece prevediamo cali maggiori, visto che i negozi hanno tante rimanenze per il periodo di stop forzato. Stimiamo una prima ripresa da febbraio 2021, anche se la tendenza del fashion system sta andando verso meno uscite durante l'anno e quindi vedremo se i volumi saranno in futuro gli stessi. La preoccupazione è che il calo della domanda a lungo termine possa precludere una filiera che era stata strutturata per le capacità produttive pre-covid e che quindi si possano perdere realtà artigianali importanti e una certa manualità, soprattutto in riferimento alle più piccole manifatture».

Passando all'Umbria, con le 40 aziende del settore tessile abbigliamento di Confindustria che raggruppano circa 3 mila addetti per un fatturato di 1,5 miliardi di euro, la situazione è leggermente migliore, o almeno c'è positività per l'autunno. «Le aziende hanno ripreso tutte il lavoro, molti brand stanno facendo vendite digitali, anche se per qualche realtà c'è il problema di liquidità. Agosto sarà un mese di lavoro pieno e se da un lato chi produce conto terzi per le griffe non necessariamente si attende un segno meno, dall'altro chi opera sul mercato italiano vedrà una flessione del 20-30%», ha spiegato Massimiliano Bagnolo, presidente della sezione tessile-abbigliamento di Confindustria Umbria. «Per la ripresa punteremo su formazione, internazionalizzazione, e sul tema etico-sociale della governance. Vogliamo infatti consolidare il ruolo della nostra regione come centro di eccellenza produttiva con maestranze qualificate, sia nella confezione di abbigliamento che nella pelletteria», ha poi concluso Bagnolo. Una distinzione arriva anche da Bologna, dove si trova Centergross, polo specializzato nel fast fashion, il cui presidente Pietro Scandellari ha affermato: «Occorre distinguere tra chi lavora con le tempistiche delle collezioni, ed è certamente in grande sofferenza, e chi fa il pronto moda, con il lockdown si è trovato in casa la produzione di fine inverno senza poterla consegnare, ma con la riapertura si è immediatamente rilanciato, mantenendo i fatturati del 2019. Per loro, l'ammanco del 2020 sarà legato al periodo di chiusura e quindi i danni risulteranno contenuti». E ad agosto che cosa faranno gli specialisti emiliani del fast fashion? «Lavoreranno sempre, tenendo chiuso forse per tre giorni, ma non dipende dal post covid: lo hanno sempre fatto», ha replicato Scandellari.

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